My Vietnam
Il Vietnam è un luogo che è stato sottoposto a innumerevoli rappresentazioni, immaginato, reinventato, a volte tradito. Dal crocevia in cui sono confluiti cinema, letteratura e fotografia nei decenni si è formato un sostrato di conoscenza pregressa del paese, rendendo difficile liberare lo sguardo per poterne proporre una lettura differente. Vietnam vuol dire immaginare un posto da lontano, vuol dire Asia come massa geografica indistinta, l’altrove per eccellenza. Per anni quel nome ha persino rappresentato, a seguito dell’intervento militare americano, la messa in discussione dell’identità di un altro paese.
My Vietnam di Gianpaolo Arena si propone non come la cronaca di un paese ma come la descrizione per immagini dell’esperienza del viaggio, la documentazione del cambiamento del proprio modo di osservare. Molti sono gli strati di senso e di rappresentazione che si sovrappongono in questa ricerca: c’è il proprio sguardo sulle cose, c’è il confronto con ciò che non si conosce, diviso tra la reazione immediata che si ha ai luoghi e la memoria iconica che portiamo con noi nel viaggio, infine c’è il proprio stile fotografico.
Le immagini non fissano lo sguardo su qualcosa in particolare, per accogliere dentro l’inquadratura le strade, gli angoli, gli interni e i volti incontrati nel viaggio. Si ritrovano i grovigli di cavi elettrici agli incroci, la folla e gli scooter che riempiono le città, ma sono presenze distanti, mai guardati in quanto diversi, in una rappresentazione che suggerisce l’altro da sè e lo sconosciuto attraverso un linguaggio che cerca di far respirare le cose che fotografa.
Da decenni ormai la fotografia documentaria ha scoperto nella rappresentazione dell’ordinario una nuova possibilità di interrogare i luoghi e le storie che abitano una cittadina, una metropoli, un paese. Si tratta di uno stile che accomuna il lavoro di diversi artisti, e di cui alcuni tratti permeano anche My Vietnam: un certo uso del colore, una distanza di osservazione, il ritratto e il suo rapporto con l’ambiente.
Più di un autore ha parlato della necessità di uno sguardo democratico, di includere nelle immagini tutto ciò che siamo abituati a lasciar passare inosservato, per ripensare il concetto di evento fotografico. Spesso questo approccio è stato utilizzato per interrogare il mondo in cui il fotografo stesso abitava, per riscoprirlo e reinventarlo. My Vietnam ci racconta un luogo distante con l’apertura di sguardo con cui altri fotografi in passato hanno esplorato la geografia della loro vita quotidiana, suggerendoci in questo modo che l’altro da noi non è solo nei volti o nei gesti di popoli lontani, ma anche in uno sguardo diverso, come nel saper accettare di non poter comprendere tutto, e subito.
Testo a cura di Fabio Severo